Traduzione:
"Ed ecco che tutti i soldati si fecero rivestimenti con feltri o con imbottiture di stoffa, o corazze di cuoio, per ripararsi dai proiettili."
Coactis: coltroni, feltri di lana grezza
Coactilia: elementi organici sovrapposti o compressi tra loro (anche pelli)
Centonis: materassi, imbottiture, spessori di stoffe trapuntate
Corius: cuoio
Tunica: membrana, guscio (tunicatum caepe: la cipolla rivestita di bucce)
Tegimenta: corazze (esteso anche a elmi, etc)
Queste speciali trapunte sono visibile anche sulle monete con trofei, inerenti alle campagne Cesariane.
Alcuni rilievi celebrativi di Aquileia e della Narbonese raffigurano inoltre corazze di cuoio o feltro, munite di gorgiera a protezione del collo.
Praticamente contemporaneo a Cesare, Crasso e la disfatta di Carre.
Afferma Plutarco sulle frecce partiche e l'armamento romano (Crasso, 24):
(
) perchè si vedeva la velocità e la forza di quelle frecce, che trapassavano le armature (opla teregnúnton) rendendo identiche le tolleranze (theroménon ómoíos) dellarmamento rigido e di quello morbido (àntitúpou kai malakou* stegásmatos).
Il vocabolo greco malakou è specifico per la la lavorazione del cuoio (malakós) e più in generale per materiali morbidi, molli e flessibili. L'espressione malakou stegásmatos è volonariamente contrapposta dall'autore al termine àntitúpou stegásmatos, ossia protezione rigida, dura, intesa quasi certamente per gli scudi o altre tipologie di corazze metalliche dei romani (forse della cavalleria).
Il brano risulta importante perchè confermerebbe un uso diffuso dei corazzamenti organici, o... se preferiamo, la preferenza e la volontaria predisposizione tattica dei romani nella scelta di corazzamenti 'di assorbimento' nelle situazioni contro l'artiglieria sagittaria.
Definitiva a questo proposito, è la dichiarazione di Plinio sui corazzamenti militari organici (Naturalis Historia VIII 192): "lanae et per se coactae vestem faciunt et, si addatur acetum, etiam ferrum resistunt"
(...) FANNO UNA VESTE DI LANA COMPRESSA (condensata) TRA SE' (tra gli strati), SE SI AGGIUNGE ACETO, RESISTONO ANCHE AL FERRO.
Questo passo accerta che l'episodio della fabbricazione di corazzamenti organici (malakou stegásmatos - coactis tunicas aut tegimenta) nelle guerre civili di Cesare al termine del I secolo a.C. non è un caso, ma che al contrario i romani conoscevano perfettamente i vantaggi di questa tecnologia: Plinio appartiene infatti al I secolo d.C
La corazza di lana di Augusto
Svetonio contribuisce a questa ricerca affermando come durante l'inverno, l'imperatore Augusto indossasse in battaglia 4 tuniche, una casacca di lino (la linea) e un 'thorax laneus'
Ma le testimonianze di corazzamenti organici non si ferma certo qui.
In riferimento alla lavorazione in frizione e pressione della lana, registriamo da Brixia (Brescia) i lanarii coactores (CIL V 4504 e 4505) oppure il lanarius coactiliarius (CIL VI 9494).
A pompei nel 79 d.C., quando l'eruzione del Vesuvio la distrusse, esistevano 39 impianti (officinae) per la lavorazione della lana, e ben 4 di questi erano officinae coactiliarie (Angelone, 1986, pg.55) di cui una era l'officina coactiliaria di M. Vecilius Verecondus. Esse producevano feltro, un tipo di stoffa non tessuta, semi-impermeabile e particolarmente resistente, ottenuta compattando peli e crini di animali di diversa specie. Per produrre questo non-tessuto, la materia prima (i peli), veniva manipolata in bacinelle con acqua calda fino a formare un impasto compatto, anche grazie all'utilizzo di un liquido coagulante (come l'aceto accennato da Plinio). Il feltro veniva inpiegato per fare vestiti, guanti, copricapi, pantofole, coperte per cavalli e... naturalmente (mediante grandi compressioni, ndS), corazze semi-rigide per i soldati (Corti-Giordani, Tessuti, colori e vestiti del mondo antico - Finale Emilia, pgg.11-12).
Giungendo sino al III secolo, l'Editto di Diocleziano fa' un interessante riferimento a un [c]entuculum equestrae (sic) quoactile album sibe niger (p.122,52) Laugger = p. 152,52 Giacchero), ossia a un rivestimento imbottito e compresso di colore bianco e nero per la cavalleria.
Ugualmente nelle Note Tironiane troviamo un thorax coactilis (97, 18 Ed. Schmitz), da non confondersi assolutamente con il thoromachus attestato nel III secolo da Anonimo (Le Cose della Guerra), che si riferisce a un Sub Armalis da indossarsi 'sotto' l'armatura, atto a difendere dal freddo e dalle frizioni di lorica vel clivanus, ossia delle corazze hamate, squamate oppure da quelle segmentate da cavalleria, sebbene secondo l'autore tale thoromachus (una tunica piuttosto spessa o rinforzata con Lybicae pelles) sia 'in certo casi' efficace anche nella protezione contro armi.
Il thorax coactilis in quanto thorax, è corazza a sè stante, e poteva essere costituito da strati di lana infeltrita e compressa, lino o cuoio sovrapposto (vedi fig.1).
L'insufficiente Lorica Hamata nel De Bello Civile?
Secondo gli studi più recenti, l'esercito tardo repubblicano dell'epoca di Cesare sembrerebbe equipaggiato quasi esclusivamente con la Lorica Hamata.
Nei test balistici da noi effettuati sulle corazze ad anelli, è emerso sistematicamente che sebbene questa protezione risulti assai resistente a colpi di taglio, è tuttavia piuttosto debole ai colpi di punta, soprattutto se cagionati da lance pesanti e frecce.
L'espediente dei militari cesariani di fabbricare involucri con materiale organico in grado di neutralizare colpi di freccia, risulta qui uno dei punti fondamentali per la comprensione dell'armamento militare romano.
Dal testo, si evince infatti come tunicas aut tegimenta (involucri o corazze) vengano fabbricati al momento, per quella particolare situazione. Non si tratta di un esercito schierato in Acie, un fronte disteso e compatto che, grazia al muro di scudi, impedisce il facile bersaglio al corpo.
Al contrario si tratta di un contesto in cui i milites, raggruppati in piccoli contingenti, cercano di raggiungere determinate postazioni al fine di fortificarle. Un lavoro che li espone passivamente al bersaglio di frecce avversarie.
La Hamata risulta insufficiente, ed essi producono così tuniche imbottite (coactis aut centonibus tunicas) e corazze di cuoio (coriis tegimenta).
Come la colonna Traiana ed altri monumenti
L'episodio di Durazzo nella guerra civile di Cesare e Pompeo, corrisponde perfettamente alle immagini offerte dalla colonna Traiana (II secolo d.C).
In esso osserviamo i milites impegnati nel lavoro di edificazione, dotati di corazze le cui caratteristiche tecniche (>>> vedi articolo <<<), suggeriscono fortemente che fossero fatte di materiale organico: cuoio o stoffe.
A combattere infatti in questo monumento (così come in altri reperti traianei come Adamklissi), vi sono militers in corazza ad anelli o a squame.
Ugualmente i rilievi di Marco Aurelio nell'arco di Costantino, i rilievo di Treviri o quello di AlbaIulia, indicano con insistenza un genere di corazzamento organico dalle caratteristiche morbide, assorbenti.
Cambiare l'idea del metallo, come migliore protezione possibile
Con Cesare, ci troviamo di fronte ad una prova inappellabile dell'esistenza di corazzamenti di cuoio o stoffe, e in particolare dei loro vantaggi protettivi nella difesa contro l'artiglieria leggera. Una prova che ribalta nei fatti, l'idea preconcetta che la migliore difesa possibile possa essere rappresentata dal ferro.
Se da un lato non è controvertibile che il metallo, soprattutto se in lamine, possa garantire una eccezionale protezione al corpo, dall'altro non si può confutare il fatto che un corazzamento organico, a pari efficacia, risulti assai più comodo ed economico nei lavori di fortificazione. D'altronde la maggior parte di reperti di corazze metalliche a segmenti oggi ritrovate, sono inerenti a luoghi di stazionamento di cavalleria (Carlisle, Corbridge, etc), e dunque di una categoria di milites che non ha le stesse necessità di mobilità del pedes on working.
L'ennesimo parallelo con la Gladiatura
La questione delle attuali ed arbitrarie preferenze del metallo su materiali organici si presenta anche nella errata interpretazione delle manicae e dei cossalia in dotazione ai pedites, confusi sovente con i medesimi equipaggiamenti metallici in dotazione alla cavalleria (clibanarii e catafratti). Tolte le manicae squamate infatti, le due principali tipologie di protezione gladiatorie agli arti - perfettamente riconoscibili nell'iconografia gladiatoria - sono rappresentate dalle maniche a segmenti di cuoio e da quelle di feltroni imbottiti (>>> vedi articolo <<<).
Ringraziamenti speciali:
Luca Ventura (Monfalcone)
Rita Lotti (Modena)
Bibliografia:
Anonimo, Le Cose della Guerra
Cesare, De Bello Civile
Plinio, Storia Naturale
|